Emilia e dintorni

Territorio

Ci sono geologi nei Comuni?

“Rete Civica” di Ferrara fa il punto

sulla situazione del territorio che, purtroppo,

in questo periodo è di grande attualità.

Gli “ostacoli” della Regione Emilia-Romagna e il ruolo del Comune nella “tutela e uso del territorio”

Ferrara, 26/05/2023. L’Emilia-Romagna, nell’immaginario nazionale, narra la regione “del buon governo di sinistra”, capace di ascoltare e recepire esigenze e priorità del mondo del lavoro e delle imprese, bilanciando le pretese sul piano dell’equità sociale. Un’etichetta contraddetta dalla realtà odierna, improvvisamente agli occhi  dell’opinione pubblica col dramma dell’alluvione in Romagna e le conseguenti polemiche sulla capacità di gestione del territorio -più dai cittadini travolti che dalla politica- appena mitigate dalla réclame del cambiamento climatico.

Un quadro che vede l’istituzione Regione Emilia Romagna divisa tra una reputazione in affanno e la responsabilità sociale di non poter più nascondere che è un laboratorio di politiche culturali neoliberali di privatizzazione spinta: dalla sanità all’urbanistica. In materia urbanistica l’Emilia-Romagna è stata un punto di riferimento per l’approccio fondato sulla partecipazione, attento a compatibilità sociali e ambientali; oggi, non è più così.

REGOLE E CONSUMO SUOLO. La legge regionale 21 dicembre 2017 n. 24, Disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio del primo mandato di Stefano Bonaccini  decide la fine dell’urbanistica come programmazione pubblica e partecipata dell’uso del territorio. Questo ha portato l’Emilia Romagna ad essere tra le prime regioni in Italia per consumo di suolo. L’arrivo in Regione nel 2020 di Elly Schlein, servirà coraggio per affrontare l’emergenza climatica“, non ha cambiato nulla, anzi, si è continuato ad occultare la realtà urbanistica sotto la cortina fumogena di slogan roboanti.

Nel 2021 Bologna è la città emiliana che ha il maggiore consumo di suolo, (32.981 ettari) seguono Modena (29.587), Parma (26.320), Reggio nell’Emilia (25.413), Piacenza (19.719), Ravenna (18.890), Ferrara (18.720), Forlì-Cesena (17.274), Rimini (11.417); capoluoghi e tutte le province hanno il segno più rispetto al 2020 (Fonte Ispra).

Tutto questo, perché la legge affida una particolarità ai privati: negoziano con le amministrazioni “accordi operativi” cui si attribuisce “il valore e gli effetti dei piani urbanistici attuativi” (art. 38), sottraendoli al PUG piano urbanistico generale del Comune che “non può stabilire la capacità edificatoria, anche potenziale, delle aree del territorio urbanizzato né fissare la disciplina di dettaglio degli interventi la cui attuazione sia subordinata ad accordo operativo (art. 33). Il tutto, mentre una complessa disciplina sui limiti al consumo di suolo finisce per consentirlo in misura notevole, soprattutto, se funzionale a soddisfare aspettative di ordine economico e se destinato a realizzare “insediamenti strategici volti ad aumentare attrattività e competitività del territorio” (art. 5).  A Ferrara, il pasticciaccio brutto del FeRis, affonda, qui, le sue radici, come, per Comacchio, le paventate nuove colate di cemento lungo la fragile realtà della Costa Adriatica.

Buone leggi, però, che consentono ai Comuni di riprendersi il ruolo di tutela del territorio ci sono, basta usarle.

PIANI E CANTIERI. L’11 novembre 2014 è stata pubblicata la Legge 164/2014 di conversione del D.L. 133/2014 recante “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”, il cosiddetto decreto “Sblocca-Italia”. Sono fondi stanziati con procedure semplificate per attuare la sicurezza, anche riguardo il Rischio Idrogeologico, sempre in collaborazione Stato-Regioni sulla base del principio di sussidiarietà. E’ da capire come queste opere siano poi calate sul territorio e fatte proprie dagli Enti Locali che devono renderne conto a chi vive sul territorio.

La Regione Emilia-Romagna dal 17 febbraio 2017 è parte dell’Autorità di Bacino Distrettuale del fiume Po (DM 25/10/2916), comprendendo le già istituite e operanti Autorità di Bacino Idrografico con redatti tutti i piani richiesti. Quindi in Emilia-Romagna, coi Piani, c’era e c’è la conoscenza del territorio, le pericolosità che lo caratterizzano, il Rischio che lo affligge e anche le soluzioni prospettate.

RUOLO DEL COMUNE. La legge Emilia-Romagna Riforma del sistema regionale locale,  21 aprile 1999 n.3 all’Art. 140 Principi per l’esercizio delle funzioni, comma 4) riporta “Agli Enti locali sono conferite le funzioni in materia di difesa del suolo e risorse idriche aventi carattere puntuale e rilevanza locale.”  Rimane da capire cosa si consideri rilevante a livello locale, ovvero dei Comuni.

Dal 1966, anno dell’istituzione della Commissione De Marchi (“per la programmazione delle opere idrauliche e forestali per la sistemazione complessiva dei corsi d’acqua, dalle pendici montane fino alle aree costiere e le relative foci”), ad oggi, maggio 2023 in cui si è verificata l’alluvione che ha colpito ottanta comuni dell’Emilia-Romagna, è chiaro il ruolo del Comune nella conoscenza delle pericolosità idrogeologiche del proprio territorio, delle opere in progetto e in attuazione e della responsabilità nel portarlo a conoscenza dei propri cittadini.

Viene da chiedersi se lo studio del territorio comunale di Ferrara sulla base della citata legge regionale 24/2017 “Tutela e uso del territorio”, comprenda l’analisi e la pianificazione di tutto questo e se i Piani Comunali abbiano questi contenuti.

I Comuni redigono e hanno responsabilità per i Piani di Protezione Civile; ma come si interpretano questi Piani di gestione del rischio, nel proprio Comune, e come si opera, quando questo si verifica, se non si è partecipi dei Progetti sovra e infra comunali e non li si riportano a scala locale? Bisogna conoscere lo stato fisico-ambientale del territorio confinante con il proprio -un tempo materia di competenza della Provincia, oggi scomparsa- valutandone l’impatto sul proprio e procedere -poi- alla Pianificazione Urbanistica.  Ma ci sono geologi negli organici dei Comuni ?

Marilena Martinucci, geologo. Ferrara Ambiente e Territorio   https://www.instagram.com/ferrara_ambiente_e_territorio/

Davide Magri Zanolli, ingegnere.  Ferrara Civica   www.ferraracivica.it

Riccardo Forni, giornalista.  Rete Civica – Progetto Emilia-Romagna   https://www.progetto-retecivica.it/

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I DISASTRI ITALIANI CHE HANNO PRODOTTO LEGGI

Una legge organica e ben impostata sulla difesa del suolo è stata varata nel 1989, a seguito del disastro della Valtellina (L.183/1989). Come ad ogni disastro succede, viene emanato un decreto legge per intervenire nella emergenza, poi con altri strumenti si danno indicazioni per come proseguire per ovviare e superare certe situazioni.

Con la legge sulla difesa del suolo del 1989 si dà il via ai Piani di bacino, già contemplati dalla Commissione De Marchi, istituita nel 1966 a seguito delle alluvioni di quell’anno, soprattutto a Venezia e Firenze, con l’obiettivo della difesa idraulico-fluviale e idraulico-forestale “per la programmazione delle opere idrauliche e forestali per la sistemazione complessiva dei corsi d’acqua, dalle pendici montane fino alle aree costiere e le relative foci”.

E così i Piani di bacino idrografico avrebbero dovuto sistemare quelle situazioni che già erano state individuate e a cui si cercava di ovviare ma che, come la Valtellina purtroppo aveva inteso, ancora non era accaduto.

Nel 1998 ci si rende conto che ancora i problemi non solo non sono risolti, ma nemmeno sono stati individuati.

Il disastro in Campania dei comuni di Sarno, San Felice e Quindici con frane ed alluvioni, che nel maggio 1998 causarono la morte di 161 persone,fece scoprire che nessun Piano era stato fatto dall’Autorità di bacino regionale Sarno allora operante. Subito col Decreto Sarno fu ordinata entro il 30 giugno 1999 “l’individuazione e perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico” tramite i Piani stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico.

Il 10 settembre 2000 siamo in Calabria e il torrente Beltrame presso l’abitato di Soverato travolge il campeggio facendo una strage e allaga l’area produttiva. Qui il Piano stralcio per l’assetto idrogeologico sarà adottato solo nel 2001.

Avremo però il Decreto Soverato che questa volta darà il via alla stesura dei Piani riguardanti il Rischio idraulico.

Continuano in effetti, nonostante i Piani, i fenomeni franosi e gli allagamenti ma solo quando provocano vittime arrivano in cronaca.

Nel 2006, intanto, entra in vigore il nuovo decreto ambientale (D lgs 152/2006) che nella parte terza accoglie i contenuti sulla difesa del suolo e ampia la visione della gestione del territorio recependo la Direttiva europea che inserisce le acque sotterranee (direttiva 2000/60/CE).

Non si tratta più allora di analizzare il territorio per bacini idrografici, riferendosi solo alle acque superficiali, ma si riconosce un ruolo essenziale alle acque sotterranee e quindi si opererà da ora a livello di Bacini Distrettuali.

Nell’ottobre 2009 frane e alluvioni toccano la Sicilia nella provincia di Messina. Un evento simile era avvenuto due anni prima ma non avendo causato morti era stato trascurato e dimenticato in breve tempo. Si scopre che i Piani di Bacino, anche se solo idrografici, ci sono, però chiusi in un cassetto e non attuati. Purtroppo si contano morti e danni ingenti, e si mettono in atto quegli interventi che, se fatti prima, avrebbero potuto evitare perdite di vita e risorse: una storia italiana.